Ripropongo qui di seguito un mio scritto, realizzato l’8 maggio 2010 qualche giorno dopo la pubblicazione di una “scheda tecnica” che riguardava i tre cannoni recuperati dalle sabbie di Capo Peloro. Al di là dei contenuti ravvisavo qualche errore di metodo nella ricerca storica. Quindi lo scritto che segue è indegnamente da ritenersi una riflessione epistemologica a cui si unisce una riflessione sul Risorgimento.
Dopo la relazione tecnica sui cannoni di Capo Peloro
“Riteniamo comunque che a nulla giova disquisire sulla proprietà militare dei cannoni di Capo Peloro e su chi ne fece un ultimo uso. Resta di fatto che sono stati trovati in un luogo strategico ove per ultimo il Generale Garibaldi aveva ordinato di porre numerosi cannoni in batteria per preparare il suo passaggio nel Continente. Il Monumento che in quel sito verrà realizzato dal Comune non ricorderà se quei cannoni furono inglesi, svedesi, sabaudi, borbonici, garibaldini o vecchie artiglierie navali abbandonate sulla spiaggia, ma un pezzo di storia cittadina riferita al Risorgimento che, tra luci ed ombre, ha comunque segnato la storia e il nostro presente.”
Così si conclude la “scheda tecnica” pubblicata qualche giorno fa su tutti i giornali locali riguardo i cannoni recuperati dalle sabbie di Capo Peloro.
E’ bene ravvisare una serie di errori di metodo di ricerca storica ed è bene cominciare a fare un po’ di chiarezza sul Risorgimento nazionale che torna d’attualità non solo per le periodiche e ricorrenti invettive del linguaggio da comizio della Lega di Bossi, ma anche per le celebrazioni del prossimo anno in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
L’errore di metodo: cosa è necessario studiare?
Errori di metodo dicevo, ed a questo proposito bisogna chiedersi a cosa serva la storia e perché è necessario studiarla, e se vi sia qualcosa che debba essere studiata più di altro. La risposta corrente a questa domanda è piuttosto conosciuta da tutti e sembra banale persino il quesito proposto. La storia, si risponderà, aiuta a capire meglio il presente e soprattutto aiuta a comprendere quello che siamo. La storia quindi, intesa come studio dei fatti storici (1), dovrebbe solo limitarsi a studiare ciò che è utile per il presente, ed il suo fine sarebbe soltanto di sussidio all’educazione civica e finalizzata quindi soltanto allo sviluppo di un non meglio determinato “senso comune” o ad un ancor meno definito“senso civico”. Tutto ciò che non serve a questo fine, o ritenuto non utile per questo obiettivo, secondo i sostenitori di questa finalità, può tranquillamente essere cancellato e dimenticato. Questo secondo l’opinione corrente, ma a questo proposito si può notare come tutti i totalitarismi abbiano avuto questa visione dello studio della storia, a cominciare dagli illuministi ispiratori della Rivoluzione Francese che bollarono ad esempio (gli esempi potrebbero essere tanti) mille anni di civiltà col nome dispregiativo di “medioevo” e definirono un impero civilissimo e millenario con un altrettanto dispregiativo nome di “bizantino”. Nel comunismo dell’Urss per fare un altro esempio questo è stato ancor più evidente quando la storia, anche recente, veniva modificata e certi leader di partito ormai scalzati venivano cancellati persino dalle fotografie. Una storia intesa appunto come “propaganda rivolta al passato” con l’obiettivo di essere strumento della Rivoluzione. Di fatto questo ha portato a cancellare totalmente tutto ciò che è stato considerato inutile, persino intere epoche anche della durata di millenni. E’ un errore che è stato sottolineato anche da papa Benedetto XVI in un discorso al Pontificio Comitato di Scienze Storiche il 7 marzo 2008 (2). In quell’occasione il Papa denunciò la pericolosità dell’esclusione dai piani di studio di intere epoche sottolineando come sia sbagliato dare sempre maggiore risalto all’epoca contemporanea, o agli ultimi secoli. Errore questo appunto dovuto al metodo sbagliato degli storici che si riflette nei programmi scolastici.
Qual’è l’utilità della storia quindi? Perchè è importante non dimenticare anche i fatti che possono sembrare secondari?
La risposta a questa domanda viene stimolata da un aforisma del pensatore sudamericano Nicolàs Gòmez Dàvila: “Lo storico non si installa nel passato con l’intento di intendere meglio il presente. Quello che siamo stati non ci interessa per ricercare ciò che siamo. Quello che siamo interessa per ricercare ciò che siamo stati. Il passato non è la meta apparente dello storico, bensì quella reale.”
Il considerare infatti solo i fatti passati che hanno una utilità nel presente porta ad una deformazione pericolosa del passato riducendo tutta la complessità del reale ad una sola variabile tra quelle che si sono verificate o si sarebbero potute verificare, e quindi il passato che sopravvive nel presente, e che si è voluto selezionare, non serve affatto a comprendere il presente proprio perché deformato e mal compreso. Lo storico deve guardare il passato per comprenderlo, spiegarlo e con una visione ovviamente ordinata deve costruire le linee generali. Lo storico deve anche prendere consapevolezza dei propri limiti: non può descrivere tutta la realtà così com’è, farebbe lo stesso errore del geografo pazzo che vuole disegnare la mappa del mondo in scala 1:1, può arrivare alla verità dei fatti, può raggiungerla in diversi gradi, ma non può rappresentare tutta la realtà. Altro limite è dato dalla distanza nel tempo dagli eventi storici: comprendere questo serve a non cadere nell’errore comune di lanciare sentenze che nascono dalla “passione politica”, cioè dalla mancanza di distanza temporale rispetto ai fatti studiati. Il passato quindi è la meta reale e non quella apparente dello storico e dal passato si può muovere verso il presente. Il metodo richiamato da Nicolàs Gòmez Dàvila è difficile, è un metodo regressivo, partire dal presente verso il passato. E proprio in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia sarebbe interessante partire da quello che siamo per capire come eravamo.
Detto questo si può concludere che lo studio della storia è inutile per chi vuole conoscere meglio il presente? Certamente no, ma non nel senso ingenuo e fuorviante che qui è stato criticato. Infatti la storia, ricoscendone la complessità ed i limiti, ha straordinarie capacità formative.
La storia non offre la risposta alle domande essenziali sull’uomo ma in qualche modo prepara a tali domande e alle relative risposte.
La storia prima di tutto aiuta a capire che l’uomo non è un Dio, educa anche alla complessità del reale affinando la capacità di leggere il presente, abitua alla dimensione drammatica e spesso tragica della realtà, infine educa alla responsabilità perché ciò che accade avviene per scelte libere di uomini e non perché deve accadere necessariamente.
Si può allora concludere che la vera utilità della storia consiste nell’abituare all’incontro con l’altro da noi, con culture e civiltà lontane nei secoli, quindi senza appiattimenti solo su alcune epoche(3).
Allora è importante studiare la storia di fatti secondari o di aspetti giudicati poco rilevanti? Senza dubbio si, sono tutti tasselli che aiutano a completare il grande mosaico del reale ed aiutano a raggiungere la verità o ad avvicinarvisi con gradi di precisione maggiore. Ma qui non bisogna cadere nell’errore opposto, bisogna sempre tener presente che non tutti i fatti storici hanno la stessa rilevanza, per farla breve è ovvio che la storia del servo di Giulio Cesare è meno importante della storia di Cesare stesso. Però studiare la storia del servo aiuterebbe a comprendere meglio la realtà in cui si è svolta la vita dell’imperatore ed in cui è maturata la congiura che ha portato alla sua morte. Nel complesso anche lo studio di fatti e aspetti secondari è necessario e non può essere tralasciato.
Anche studiare la storia dei tre cannoni recuperati tra le sabbie di Capo Peloro può essere quindi utile per aggiungere un tassello, anche se piccolo, al grande ed elaborato mosaico della realtà.
Parliamo adesso di Risorgimento
Per quanto riguarda il cosiddetto Risorgimento si può notare che fu un momento pressocchè analogo a quello che la Rivoluzione francese rappresentò per la Francia. Anche per il Risorgimento italiano vi fu la creazione di un mito che andò sviluppandosi contemporaneamente allo svolgimento dei vari fatti storici, così ad esempio la vita e le imprese di Garibaldi divennero fin da subito gesta eroiche degne di essere tramandate dalla la storiografia. La storiografia dal canto suo accolse favorevolmente questo mito anche in epoche diverse, da questo punto di vista è bene notare che anche durante il fascismo la visione che la storiografia ebbe del Risorgimento sia stata conforme a quella dell’epoca precedente, nonostante il regime si proclamasse contrario agli ideali della Rivoluzione francese che proprio nel Risorgimento vedevano la loro realizzazione pratica in tutta la penisola italiana. Le precedenti venute di Napoleone in Italia infatti avevano trovato il grande ostacolo delle insorgenze e non modificarono in modo decisivo le istituzioni politiche e sociali.
Al giorno d’oggi dal punto di vista del profilo storiografico una revisione dei fatti storici è in atto. Sono numerose le pubblicazioni valide anche da un punto di vista di studio documentale ad opera storici fuori dall’ambito accademico come ad esempio Angela Pellicciari o Francesco Pappalardo.
Ma anche nella cerchia degli accademici sta avvenendo un nuovo approfondimento dei fatti risorgimentali, con un approccio più sereno dato dalla distanza temporale che permette di evidenziare anche altri aspetti del processo di unificazione spesso tralasciati dalla precedente storiografia. Tuttavia questo nuovo approfondimento resta di fatto, secondo la cultura dominante, circoscritta ad un’innocua cerchia di docenti universitari.
Anche dal punto di vista della storia militare, tanto per fare un esempio a tema, vi fu la creazione di un mito. In realtà dal punto di vista militare il Risorgimento non ebbe episodi gloriosi ma anzi conobbe molte sconfitte. Lo storico Marco Tangheroni ricordava (4) come nella voce Risorgimento dell’Enciclopedia Italiana, scritta negli anni ’30 in un periodo in cui era dominante la mitologia risorgimentale, il generale Alberto Baldini (1872-1953), storico militare e co-estensore della voce per la parte relativa a Le guerre del Risorgimento così scriveva: “Le vicende guerresche del Risorgimento provarono che gli italiani in armi erano temprati alla disciplina ed al sacrificio e che gli insuccessi che talvolta furono patiti derivarono da alcune deficienze funzionali proprie degli organismi improvvisati e delle situazioni intricate” (5). Come si può notare è un modo piuttosto contorto per riconoscere numerosi fallimenti militari.
Altro ancora si può dire sul Risorgimento e sui suoi aspetti più importanti. Le problematiche dell’indipendenza, dell’unità politica e della cosiddetta “risurrezione” della nazione italiana (da cui il termine Risorgimento) sono tematiche molto complesse che vanno affrontate e relazionate tra di loro con una giusta lucidità storica (6).
Conclusioni: un monumento al Nulla?
Subito dopo l’Unità d’Italia venne l’epoca della commemorazione: ci furono le morti celebri, i necrologi, i monumenti, l’istituzione di musei, la posa di lapidi, l’intitolazione di vie ecc. A dir la verità oggi molti di questi monumenti sono sporchi e mal tenuti, stessa sorte è toccata alle numerose lapidi. Tuttavia a 150 anni, in un clima che vede sia lo stanziamento di fondi per le celebrazioni , sia l’occasione di un nuovo approccio allo studio della storia del Risorgimento, tutto questo torna di attualità.
La frase richiamata nelle prime righe di questo articolo, che conclude la perizia tecnica riguardo i cannoni recuperati nella spiaggia di Capo Peloro, in origine definiti “garibaldini” ed oggi comunque collegati ai fatti del risorgimento, è molto significativa ed è sintomo di una visione sbagliata della storia.
Prima di tutto è importante, perché è giusto che sia così, dare un’attribuzione corretta ai cannoni e ricostruire anche questo piccolo tassello di storia. In secondo luogo l’affermazione di voler costruire un monumento che non specifica nulla sui fatti storici ma che ricorda vagamente i fatti del Risorgimento suona come un duplice allarme. Il primo, quello più ovvio nell’epoca contemporanea, rimanda ad i fondi stanziati e quindi alla necessità di un loro utilizzo per commemorazioni e celebrazioni. Un monumento al Risorgimento (senza specificazioni sul come, il perché ed il quando questo avvenne) è l’utilizzo più facile, per non usare la parola banale, che si può fare di quel denaro.
Il secondo allarme è più grave e rimanda ad un aspetto già evidenziato nel discorso già citato di Benedetto XVI (7) : oggi il rischio non è solo quello che la storia venga falsificata, ma vi è un rischio più grave, cioè quello della cancellazione della stessa storia. L’erigere un monumento destinato non si sa bene a ricordare cosa, è il sintomo più evidente di questa tendenza. Non importa più sapere cosa avvenne, quando avvenne, e perché avvenne. E se questa amnesia del passato avviene per le piccole cose immaginiamo cosa può avvenire se ci si dimentica di fatti molto importanti. Il rischio è quello di perdere la memoria e quindi di essere facilmente manipolabili. In questo caso quindi anche l’approfondimento storico su tre cannoni torna utile per non perdere la memoria, per non cancellare intere epoche (il regno borbonico ad esempio è stato cancellato totalmente da ogni memoria), ed è uno spunto interessante per volgerci al passato partendo da quello che siamo. Solo così la storia può svolgere la sua funzione formativa ed aiutarci ad affrontare meglio la vita del presente.
Antonino Teramo
Note:
(1)Sarebbe più appropriato in questo caso il termine storiografia. Tuttavia in lingua italiana la parola storia ha il doppio significato di “fatti accaduti” (res gestae) e di narrazione dei fatti accaduti (historia rerum gestarum), cioè storiografia.
(3)Riguardo a quanto finora affermato e per un approfondimento circa l’utilità della storia ed altre problematiche di epistemologia della storia si rimanda a MARCO TANGHERONI, Della Storia – In margine ad aforismi di Nicolàs Gòmez Dàvila, Sugarco, Milano 2008.
(4)Cfr MARCO TANGHERONI, Cristianità Modernità Rivoluzione – Appunti di uno storico fra “mestiere” e impegno civico-culturale, Sugarco, Milano 2009, pp. 96-97.
(5)ALBERTO BALDINI, voce Risorgimento, in Enciclopedia Italiana, vol. XIV, 1936, p. 452. Citato in MARCO TANGHERONI, Cristianità, Modernità Rivoluzione, op cit p. 97
(6)Si rimanda a OSCAR SANGUINETTI, Anti-Risorgimento e intellettualità italiana, saggio pubblicato all’indirizzo internet http://www.identitanazionale.it/riso_3003.php Si suggerisce anche la lettura di GIUSEPPE BRIENZA, Luci e ombre del processo risorgimentale italiano, saggio pubblicato all’indirizzo internet http://www.identitanazionale.it/riso_3004.php
(7)Vedi nota n°2
Rispondi