Articolo pubblicato su Zancleweb il 22 gennaio 2012 che riguarda il rapporto tra Annibale Maria di Francia e la poesia.
Un aspetto della personalità di Sant’Annibale Maria di Francia spesso sottovalutato o tenuto in poco conto è quello relativo alla sua attività poetica. E’ vero che questa passa nell’immaginario comune in secondo piano rispetto alle opere caritative e alle virtù cristiane esercitate dal canonico messinese, ma è pur vero che costituisce anche un elemento importante della sua formazione culturale e religiosa.
In un libro di poesie dal significativo titolo di «Fede e Poesia», pubblicato a Oria nel 1926, presso la Tipografia Antoniana dell’orfanotrofio da lui fondato, lo stesso Padre Annibale in una breve prefazione spiega il suo rapporto con la poesia ed espone i punti fermi della sua poetica.
Raccontava come fin dall’età di nove anni avesse cominciato a comporre versi e che egli stesso ritenesse questo suo interesse ereditato dal padre (che non conobbe mai perché morto quando lui aveva appena due anni) che aveva studiato i classici e aveva anche scritto poesie, e dalla madre che possedeva un buon gusto poetico. All’età di sedici anni ebbe come insegnante il poeta messinese Felice Bisazza che giudicava pari ai più grandi poeti moderni, distinguendo a quel punto i poeti “moderni” dai “contemporanei”, coloro che hanno per capofila Carducci. Ed è proprio contro la poetica di Giosuè Carducci che il poeta Annibale Maria di Francia scaglia la sua critica, scriveva infatti:
«[…]perchè ho sempre ritenuto e ritengo, che Carducci, sia stato un dotto, uno scrittore, un letterato, ma non un poeta. Gli mancò quella che dicesi scintilla del genio; oltre che non ebbe il cuore capace dell’amore del bello, perché scettico, antireligioso, fino ad inneggiare a Satana, che fu il suo ideale! In una parola: egli non nacque poeta volle esserlo a tutta forza: ebbe la monomania di esserlo, e si dedicò a verseggiare; il che, per altro, non è cosa impossibile per uno studioso ed erudito. Da lui venne poi una degenerazione in poesia; poiché non si cercò più il sentimento nobile, gentile, spontaneo; ma, distrutto il principio religioso, smontata la base del sentimento estetico, soppresso il puro ideale, era inevitabile che la poesia scendesse troppo basso, anche nella forma!
Ed è una pietà o una indignazione, leggere certi componimenti in versi che non sono affatto versi, ma prosa divisa in linee, senza metro, senza ritmo, senza concetti poetici. Paragonerei questa scuola veramente barbara, al suono confuso e discordante che si trarrebbe da un cembalo, sul quale si gettassero a caso le mani, battendo e ribattendo i tasti. Povera gioventù che ritiene come stile poetico tale foggia di scrivere![…]»
«[…] Ho scritto parecchi componimenti in poesia da giovinetto, perché ne sentivo l’estro, e ancor di più quell’intimo e indefinito sentimento del bello, del puro e dolce amore di tutto ciò che è buono e santo. Avviene che ciò che si sente con un po’ di poesia, si ama di estrinsecarlo in quelle forme poetiche che rispecchino l’interno sentimento.[…]»
Quindi, secondo Padre Annibale, quando cominciano a mutare gli intenti, quando cioè il fine non è più la ricerca di sentimenti spontanei e quindi naturali, di conseguenza anche l’arte poetica degenera provocando uno scadimento di qualità. E Carducci veniva considerato da padre Annibale il punto di partenza di questa degenerazione, avendo egli per primo rinunciato a cercare il bello nel suo inno a Satana.
Lo stesso Padre Annibale non si riteneva degno di essere paragonato al suo maestro Felice Bisazza ma era comunque figlio di quella scuola di poesia che ricercava il Bello e l’armonia, sentendosi erede della tradizione plurisecolare della poesia italiana. Non poteva far altro che proporre un modello di poesia antitetico a quello dei suoi contemporanei.
L’analisi della degenerazione della poesia, e potremmo aggiungere dell’arte in generale, appare organica. Padre Annibale infatti individuava un preciso processo di decadimento che oggi chiameremmo dei “piani inclinati”, tendente cioè a andare verso il basso:
«[…] Ma dove si è giunti in fatto di idee e di poesia? Dal verismo, al più erotico sentimentalismo, e da questo al sensualismo. Così la poesia che, al disopra di ogni arte bella, ha la missione di educare, di muovere, di entusiasmare, è diventata ludibrio del pervertimento delle idee, dei costumi, della lingua![…]»
E’ proprio questa crisi del mondo contemporaneo, che rintraccia anche nella poesia, che Annibale Maria di Francia vuole combattere con i suoi versi, ed è questo l’unico motivo che lo spinge a pubblicarli accettando le richieste dei suoi orfani che da tempo avevano raccolto molti dei suoi componimenti poetici.
«[…]Ma non pretendo che ricordare ai giovani che prima del Carducci e compagni, c’é stata una poesia italiana che tutti, i quali abbiano un briciolo di genio poetico e di vero sentimento artistico, debbono mettersi d’innanzi, se vogliono riuscire a qualche cosa. Sia pure che si rifugga dall’imitazione servile, e che si voglia eseguire l’impulso di nuove ispirazioni; ma bisogna formarsi il gusto al bello estetico e poetico. E che gusto può formarsi con le odi barbare del Carducci e compagni? con la pornografia dello Stecchetti? con l’arruffamento del Rapisardi, e simili? Il gusto vero può formarsi sui nostri poeti Italiani dell’epoche della Letteratura classica e romantica. Ivi é robustezza di verso, eleganza di lingua, frase poetica, immaginazione, cuore, elevazione, poesia.[…]».
Così l’azione caritativa di Padre Annibale è presente anche nelle sue poesie che si trasformano in una sorta di apostolato culturale. La poesia e l’arte divengono quindi campo di battaglia e strumento privilegiato di educazione in cui la ricerca del Bello equivale ad aprire una via verso Dio.
Infine Padre Annibale, in questa sua breve prefazione distingueva tra i suoi componimenti quelli letterari, «che conservano una forma ed uno stile non andante e popolare, ma piuttosto elevato e poetico», da altri componimenti come novene per santi e preghiere che non potevano essere classificati come letterari per il loro stile umile e popolare. Riferendosi a queste ultime rime concludeva:
«[…]E forse queste cosucce, perché dirette al sacro culto e all’onore dei Santi del Signore, mi saranno di maggior profitto pel bene della povera anima mia, e qualche volta mi parranno più belle di tante altre, tinte della mia vanagloria!».
Antonino Teramo
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