A Messina, sul percorso che porta al piccolo santuario dedicato alla Madonna di Trapani si trovava la settecentesca fontana Mannamo. Si tratta di uno dei tanti resti del passato sopravvissuti a terremoti e a guerre, ma non all’incuria dell’uomo. La fontana fino a qualche decennio fa si presentava ancora integra, come dimostra la documentazione fotografica, presente nel testo a cura di Franco Chillemi, Aldo di Blasi e Rocco Sisci risalente alla fine degli anni ’80 del secolo scorso (Il San Leone: dal sobborgo Saddeo al più popoloso quartiere messinese, Edas Messina 1989, pagg. 194 e 197). Il volume conteneva anche una descrizione della fontana, con qualche considerazione fatta da Franco Chillemi (pagg. 216-217). La stessa descrizione è stata riproposta nuovamente nel 1995 dallo stesso autore nel suo I Casali di Messina. Strutture urbane e patrimonio artistico (Edas, Messina 1995. La descrizione è a pag.144, una fotografia della fontana è a pag. 138).
La struttura era caratterizzata da una lapide tra due volute sormontata da uno stemma araldico, più in basso era presente un mascherone da cui sgorgava l’acqua. La fontana era collegata ad una vasca d’irrigazione, posta sul retro, affiancata da sedili. Chillemi riferisce che si tratta di un uso piuttosto comune nelle fontane delle campagne messinesi. Nel giugno 1989 fu sottratto lo stemma araldico e da quel momento la fontana venne progressivamente spogliata di ogni elemento decorativo fino ad arrivare alle attuali condizioni.
Dalla documentazione fotografica è possibile fare qualche considerazione sui tre elementi caratterizanti, cioè lo stemma, la lapide e il mascherone.
L’insegna araldica della famiglia Mannamo è descritta da diversi testi (si prende qui in riferimento il «Nobiliario della Città di Messina» di Giuseppe Galluppi, Napoli 1877. Pagg. 116-117) secondo il lessico in uso nella disciplina araldica: «di rosso, all’albero di manna d’argento, nodrito sovra una zolla dello stesso, movente dalla punta». Lo stemma della famiglia era quindi costituito dalla raffigurazione su campo rosso di un albero di manna (il cosiddetto frassino da manna) d’argento sopra una zolla dello stesso colore. Lo scudo rappresentato sulla fontana si presenta «partito», cioè diviso in due in senso verticale. Nella prima parte, a sinistra di chi osserva, era raffigurato lo stemma della famiglia Mannamo. Nella seconda parte dello scudo, a destra di chi osserva, era invece rappresentato un altro stemma che sembrerebbe un braccio con armatura impugnante un oggetto non identificabile a prima vista, forse un ramo di palma. Ad un primo approccio è possibile ipotizzare che questa seconda metà dello scudo raffiguri lo stemma di una famiglia imparentata con i Mannamo, oppure un particolare uso araldico proprio di colui che ha fatto realizzare la fontana.
Il nome di un membro di casa Mannamo appariva nella lapide, oggi non più presente ma trascritta da Franco Chillemi nei suoi due lavori già citati (Il San Leone…op.cit. pag. 359-360; I Casali di Messina… op.cit. pag.400, nota 4):
D.O.M.
BONORUM OMNIUM DATORI
CUIUS BENEFICIO REFERTA ACCEPTUM
QUO HANC QUIETIS ET OBLECTATIONIS SEDEM
HONESTO LABORE PARTAM SIBI DELEGERIT
SALESIUS MANNAMO PATRITIUS MESSANENSIS
ANNO MDCCLXXXXVII
Si trattava di una dedicazione a Dio, come comunemente si usava in lapidi di questo tipo, con ben chiaro il fine dato alla fontana di essere da ristoro e riposo nelle fatiche quotidiane. La lapide era datata 1797 e il nome del committente era quello patrizio messinese Salesio Mannamo. Si tratta di un personaggio in vista nella Messina del tempo. Giuseppe Galluppi, nel testo già citato (pag.117), ne tratteggiava il curriculum vitae: Regio Maestro Notaro del Senato di Messina nell’anno 1794, col merito di aver riordinato l’archivio senatorio e aggiornato la «Mastra nobile» (cioè l’elenco dei nobili che concorrevano ai pubblici uffici), Console nobile di terra e di mare per varie volte e infine cavaliere dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme dal 1812.
Infine sul mascherone, da cui sgorgava un tempo l’acqua della fontana, è possibile appena fare qualche considerazione di carattere stilistico. Non appare ad una prima impressione condivisibile a riguardo l’opinione di Chillemi che vi ritrovava «riferimenti con i motivi ornamentali delle Quattro Fontane del Mangano, che le iniziò nel 1666 sui disegni del Calcagno». I termini di paragone più immediati e di facile raffronto per un’analisi stilistica invece potrebbero essere i numerosi mascheroni che spesso si ritrovano nelle chiavi di volta dei portali settecenteschi. Ad una primissima analisi, allora, la fontana appare espressione di un barocco molto tardo. Si potrebbe far avanzare l’ipotesi di una datazione più antica al massimo di qualche decennio rispetto alla data della lapide, quest’ultima posta da Salesio Mannamo prorio alla fine del XVIII secolo probabilmente a completamento dell’opera. Tuttavia in assenza di altro tipo di fonti o di studi più accurati non è possibile fare considerazioni più precise e uscire dall’ambito delle ipotesi.
La famiglia Mannamo, legata al vicino eremo della Madonna di Trapani, come dimostrano alcune sepolture presenti in quella chiesa, e residente non molto distante in un’abitazione i cui ruderi sono ancora esistenti, era proprietaria delle terre in cui sorge la fontana.
Oggi dell’artistica fontana non rimane che la memoria. Questo breve articolo vuole offrire la ricostruzione di un brandello di storia e magari essere da stimolo per uno studio più approfondito della fontana basandosi sulla documentazione fotografica esistente. Resta aperto un grosso interrogativo sulla conservazione del patrimonio culturale, sulla sua fruizione e sulla nascita di una memoria storica condivisa in questa città, che in questo ambito troppo spesso ha avuto come alibi il terremoto del 1908, ma frequentemente è stata danneggiata in modo irreversibile dai suoi stessi figli.
Antonino Teramo
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