Tra le più note leggende della città di Messina vi è quella che parla delle imprese di Cola Pesce. Questo pescatore prodigioso ha dato luogo a varie storie che ne raccontano le gesta. Giuseppe Pitrè nella sua opera Studi di leggende popolari in Sicilia dedica un intero capitolo alla leggenda di Cola Pesce e ne raccoglie ben diciotto versioni popolari diverse una all’altra, e ben trentatré versioni letterarie dei più diversi autori.
La leggenda in passato non era diffusa solo a Messina o nella sua provincia, ma se ne rilevano tracce con varianti e rielaborazioni anche a Catania, Palermo ed in tutta la Sicila, a Napoli e persino in Spagna. Le gesta di questo sorprendente personaggio, che a seconda dei casi ha il nome di Cola o Nicola Pesce oppure Pescecola, non sono affatto ignote alla tradizione iberica. Miguel de Cervantes infatti, facendo enumerare a Don Chisciotte della Mancha le qualità richieste ad «un bueno caballero andante», spiega che debba «saber nadar como dicen che nadaba el peje Nicolas o Nicolao».
La leggenda, nelle sue diverse rielaborazioni, si svolge più o meno così:
Nicola (o Cola) è siciliano (messinese o catanese) e come un pesce vive in mare e non può mai allontanarsene per una imprecazione che la madre, una volta da lui gravemente offesa gli lanciò in un momento di collera, cioè che egli stesse sempre in mare e raramente apparisse sulla terra. Egli muore a causa del re Federico II di Svevia che per un capriccio, uno di quelli che la tradizione popolare siciliana gli attribuisce, (secondo altre rielaborazioni della leggenda il sovrano è Federico d’Aragona o un Re non meglio specificato) gli impone di tuffarsi più volte nelle acque dello stretto al Faro, nel gorgo di Cariddi o nel porto di Messina per recuperare un oggetto da lui lanciato (un anello o una coppa d’oro) con la promessa di un premio, oppure chiede al nuotatore di raccontargli delle meraviglie sottomarine da lui viste. A questo punto secondo una versione della leggenda Cola morirebbe annegato o divorato da un mostro marino in uno dei tentativi di immersione per recuperare l’oggetto prezioso. Secondo un’altra leggenda invece rimarrebbe sottacqua a sostituire una delle tre colonne che reggerebbero Messina, salvando la città da sicura distruzione. Ancora un’altra versione è quella che il pescatore tentò il recupero di un palla di cannone sparata dalla spiaggia del Faro. Dopo aver inseguito la palla, che velocemente sprofondava, la recuperò. Mentre si accingeva a risalire si trovò, prodigiosamente, in una sorta di grande bolla d’aria entro la quale rimase prigioniero, non potendo nuotare e spingersi per risalire in superficie (questa versione viene riportata da Benedetto Croce in Storie e leggende napoletane).
Questa è la narrazione della leggenda in generale, con le varianti più comuni. Tuttavia nelle rielaborazioni raccolte dal Pitrè in tutta la Sicilia sono presenti anche altri dettagli.
Uno dei particolari che ricorre spesso è l’imprecazione della madre di Cola che lo costringe a non poter vivere fuori dall’acqua e ad assumere sembianze di pesce. Questa imprecazione trova la sua ragione popolare: le imprecazioni delle madri sortiscono il loro effetto perché sono ascoltate da Dio. Credenza di insegnamento per il popolo in cui i figli sanno che la parola materna è parola di Dio. L’idea delle gravi conseguenze della maledizione materna è radicata in molti popoli e si capisce come possa aver trovato presa nella leggenda di Cola Pesce.
Altre leggende fanno immergere Cola a Napoli nelle misteriose grotte di Castel dell’Ovo, a Palermo nel porto oppure nelle acque di Cefalù.
Per quanto riguarda il periodo storico in cui si collocano le vicende di Cola Pesce in genere è quello di Federico II di Svevia (XIII secolo), re presente anche in altre leggende e racconti popolari siciliani, ma il sovrano varia in base alle epoche storiche ed il Pitrè dice di aver udito dei pescatori raccontare i fatti come se si fossero svolti pochi anni prima.
In Spagna, invece, la leggenda è ambientata a Lierganes, a poche miglia da Santander nelle Asturie ed anche in questo caso presenta molte differenze raccontando di un “uomo pesce” diventato tale per una maledizione della madre ed è ambientata nel secolo XVII . E’ possibile che alcuni elementi della leggenda di Cola Pesce si siano fusi e mescolati con una successiva.
Giuseppe Pitrè oltre a riportare la leggenda popolare racconta anche delle versioni letterarie della storia del famoso pescatore messinese. Una delle più belle è quella di uno dei massimi esponenti del Romanticismo tedesco, Friedrich Shiller che ricostruisce la scena delle prove a cui il re sottopone il nuotatore. In questa scena non è difficile ritrovare le tracce della tradizione popolare: al re descritto non è data un’identità, ma il suo capriccio e la sua impassibilità per le crudeli prove a cui sottoponeva il nuotatore lo fanno identificare con il Federico II delle leggende popolari siciliane.
Come già detto il Pitrè riporta in totale ben trentatré versioni letterarie della leggenda, tra le quali vi sono quelle dei messinesi Francesco Maurolico, Giuseppe La Farina e Felice Bisazza.
Tra le diciotto versioni popolari riportate dal Pitrè invece sei sono riconducibili a Messina ed alla sua provincia, le altre provengono da Palermo, Trapani, Termini, S.Cataldo. Una sola versione è napoletana (riportata anche da Benedetto Croce).
Secondo Giuseppe Pitrè il nome di Nicola o Cola dato al nuotatore non sarebbe casuale: San Nicola è infatti nella tradizione cristiana il protettore dei marinai e certe volte per il popolo è quasi come il Nettuno della classicità.
Tra le fonti anche indirette della storia di Cola Pesce ci sarebbe quindi un mito classico, quello di Nettuno, ed anche una leggenda agiografica cristiana, cioè quella di S.Nicola di Bari.
Antonino Teramo
Rispondi